Il triste recinto
degli alieniati

Cesare Lombroso

Collezione Lombroso

Nella collezione del Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso è presente una ricca raccolta di manufatti artistici di varia natura, che aveva animato il museo sin dalla sua nascita e che costituisce il largo “campionario” sulla cui base lo psichiatra aveva elaborato il suo pensiero sull’arte dei pazzi, ampiamente trattata nelle opere Genio e Follia e L’uomo di Genio. Non a caso, parlando della cosiddetta “arte pazzesca”, lo studioso aveva scritto nel 1895 che il museo ne avrebbe offerto “una collezione completa, razionale, viva, per avviare la nascita di una storia naturale dell’arte, dal primitivo al classico”: una dichiarazione di intenti che rivela l’interesse per la ricerca e l’interpretazione evoluzionistica delle espressioni artistiche.
Nei suoi testi sull’argomento Lombroso scrive che la somiglianza tra “cerebrazione incosciente del genio” e “atti impulsivi dei pazzi” è profonda, e che spesso l’estro creativo si fonde in un solo e unico prodotto con la malattia mentale. Questo avviene talvolta negli uomini di genio, e soprattutto “in quei pazzi che geni non sono, ma che lo diventano per qualche tempo, nei manicomi, e che ci additano l’originalità, la creazione artistica ed estetica formarsi solo in grazia all’alienazione nei meno predisposti”, poiché la follia, in costoro, “scioglie il freno all’immaginazione”. Se il genio, anche attraverso la figura del mattoide (anello di congiunzione tra il genio e l’alienato), può essere identificato come una forma di psicosi o comunque essere collegato ad una condizione psico-patologica, uno studio più approfondito delle attività creative e delle produzioni artistiche dei pazienti psichiatrici assume importanza vitale, e diventa essenziale esaminare disegni e manufatti realizzati da coloro che sono dichiarati pazzi e confinati nei manicomi; per questo, come scrive Lombroso, “ ...Molti giornali [...] sorsero in tutti i migliori manicomi d’Italia. Ogni numero di questi curiosi diari, portava in sé [...] la dimostrazione di quella tesi, creduta per tanto tempo un bislacco paradosso, e [che ora] riusciva a convincere i più: quanto poco nell’alienato s’avveri di quel caotico e assurdo che le menti volgari vi appiccicano, e come anzi spesso l’alienazione dia luogo ad una non ordinaria lucidezza di mente”. Da quelle stesse strutture che pubblicavano diari e giornali, giungono a Torino i manufatti artistici.

Giovanni Marro

Collezione Marro

L’interesse di Lombroso per la cosiddetta “arte pazzesca” è condiviso dal collega e amico Antonio Marro, direttore del Regio Manicomio di Collegno. Tra i due intercorrono nel corso degli anni una fitta corrispondenza e scambio di materiali, come testimoniato dalla compresenza nelle due collezioni degli abiti di Giuseppe Versino, che Marro dona a Cesare Lombroso insieme ad una fotografia del paziente.
Gli Altri oggetti della sua collezione saranno invece ereditati e conservati dal figlio Giovanni Marro, anch’egli medico psichiatra a Collegno, che comincia la sua carriera lavorando presso il Manicomio diretto dal padre.
Giovanni, inoltre, si dedicherà a studi di tipo antropologico seguendo la Missione Archeologica Italiana in Egitto dal 1911 al 1936, e all'insegnamento dell'Antropologia per le Scienze Naturali presso l'Università. Grazie alla sua attività scientifica accumulerà un patrimonio molto eterogeneo, con il quale fonderà nel 1926 il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino. Qui confluiranno anche i manufatti realizzati dai ricoverati di Collegno ereditati dal padre o raccolti in prima persona durante i suoi anni di lavoro nei Regi Ospedali Psichiatrici torinesi dal 1902 al 1940.
Marro è fortemente influenzato dalla cultura scientifica del tempo (inizialmente anche dalle teorie lombrosiane), per cui ritiene che tali oggetti siano la manifestazione della patologia mentale dei pazienti, utili per effettuare complesse diagnosi. La collezione di provenienza manicomiale, ribattezzata “arte paranoica” o “arte degli alienati” conserva circa centocinquanta opere molto diverse fra di loro: disegni, sculture, dipinti, scritti e stoffe ricamate, ed è affiancata nel percorso museale da manufatti provenienti dalle valli alpine piemontesi e da disegni realizzati da bambini, con l'obiettivo di offrire il tipico parallelismo “deviato/selvaggio/bambino”.
In particolare, secondo l'impostazione dell'epoca, la cultura materiale documenta le fasi evolutive dell'uomo e delle civiltà.
Nel 1913 Marro scrive un articolo intitolato Arte Primitiva e Arte Paranoica, in cui si confronta con l’universo dell’arte dei malati mentali studiandone le radici e le forme.
Qui lo psichiatra suggerisce un parallelo con l’animismo, descritto come inclinazione ad attribuire un’anima anche ai fenomeni naturali e alle cose, rendendole specchio esteriore dell’interiorità dell’uomo. Egli riconduce questa tendenza a uno dei più importanti elementi del substrato primitivo della mentalità umana e lo riconosce come uno dei fattori all’origine dell’arte plastica. Come Lombroso, anche Marro sostiene che i disturbi psichiatrici non abbiano sempre esito di indebolimento o rovina delle facoltà mentali, ma che talvolta risveglino attitudini artistiche e creative che fino allo scaturirsi della malattia si erano conservate allo stato latente. Lo psichiatra spiega la sua teoria con questa efficace metafora: “la pazzia è paragonabile alla spugna del restauratore di affreschi, il quale asporta, fa scomparire gli strati di colore recenti superficiali e mette in evidenza quelli antichi sottostanti, più o meno completamente occultati”.
Il ristabilirsi dell’animismo nella mente del paranoico può far sorgere in esso la tendenza artistica per il disegno, la pittura, la scultura, con manifestazioni artistiche che seppur spesso frammentarie, illogiche o assurde risultano nel complesso estremamente creative, come dimostrano i materiali della sua collezione.