Il triste recinto
degli alieniati

Collezione permanente, Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Portauovo

Questo delizioso oggetto, conservato nelle vetrine espositive della Sala 5 del Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, ricorda un bocciolo di camelia o una porcellana di alta fattura per la delicatezza dei suoi colori e delle fini decorazioni. Esso è in realtà realizzato in un materiale ancor più fragile di quanto possa apparire ad una prima occhiata, poiché è interamente costituito da gusci d’uova finemente dipinti e assemblati tra loro. Si riferisce forse a questo lombroso quando parla di una paziente di Collegno “tale M., ginevrina, affetta da monomania persecutoria, [che] consumò interi anni in lavori sopra fragili uova e su limoni, lavori che, malgrado fossero bellissimi, non poterono giovarle nella fama, perché essa li teneva gelosamente nascosti; né io, a cui pure ero affezionata, potei vederli, se non quando morì”.

Collezione di Art Brut, Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino

Posate intagliate

Tra gli oggetti della collezione di Art Brut del Museo di Antropologia ed Etnografia Giovanni Marro si trovano una sessantina di oggettini in legno o in osso, tra questi, numerose piccole posate (qualche cucchiaio ma soprattutto forchette e coltelli) artisticamente lavorate e realizzate con ossa animali provenienti dalle cucine del Regio Manicomio di Collegno. La maggior parte di esse è scolpita e intagliata con motivi geometrici o dipinta con colorati disegni fitomorfi e floreali. Nonostante le fini decorazioni rendano evidente il valore artistico e creativo di questi oggetti, non sfugge di essi l’utilità pratica, soprattutto se si pensa che spesso, ai pazienti degli istituti psichiatrici, era concesso l’uso del solo cucchiaio.

Collezione di Art Brut, Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino

Serratura

È un caso del tutto particolare quello della serratura con chiave in legno, anch’essa parte della collezione proveniente dall’ambiente manicomiale di Collegno. Come la gran parte degli oggetti della collezione, essa è opera di un anonimo. Pur non potendo rientrare a pieno titolo nella classificazione dei “manufatti artistici” essa ha un’evidente connessione con i bisogni e le esigenze dei pazienti del manicomio, che nelle proprie lettere, descrivendo la vita quotidiana all’interno dell’ospedale, lamentano spesso di essere continuamente tenuti sotto stretta sorveglianza, e di non avere spazi solo ad essi riservati.

Collezione permanente, Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Carte da gioco

Come racconta nel suo trattato Luigi Scabia, direttore del Regio Manicomio di Volterra, ai pazienti ritenuti non pericolosi era spesso concesso di trascorrere qualche ora ricreativa atta a favorire la socializzazione. Nel suo trattato Il Frenocomio di S. Girolamo in Volterrara egli scrive che le attività preferite dai pazienti, soprattutto tra i contadini e tra coloro che non sapevano leggere e scrivere, c’era il gioco delle carte. Non stupisce pertanto trovare nella collezione lombrosiana un alto numero di mazzi di carte da gioco realizzate a mano da internati in strutture psichiatriche e carcerarie.

Collezione permanente, Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Mobili di Eugenio Lenzi

I tre mobili intagliati in legno dal falegname lucchese sono tra gli oggetti più sorprendenti della collezione lombrosiana.
Il mobile-secrétaire è un mobile scrittoio da camera tipico dell’800 che, nella sua versione classica, presentava una serie di vani, cassetti e ovviamente un piano d’appoggio. L’oggetto realizzato da Eugenio Lenzi rispecchia solo in parte i canoni che caratterizzano questo oggetto: si nota infatti che il piano d’appoggio generalmente devoluto alla scrittura è piuttosto ridotto, tanto da renderlo quasi inutilizzabile nella sua funzione pratica. Abbondano qui invece cassetti e scomparti segreti, e risulta preponderante l’apparato decorativo caratterizzato dalla presenza di figure antropomorfe di memoria tardogotica, in contrasto con l’impianto barocco della struttura. Lo stesso vale per il mobile a specchiera, nel quale non è possibile specchiarsi poiché il vetro è sostituito da una tavoletta lignea dipinta dall’autore e raffigurante due personaggi che ricordano le raffigurazioni dei simposi e dei banchetti classici.
Infine. Al nostro autore è attribuita una gigantesca pipa-calumet decorato sulla parte superiore da figure primitive, che si appoggia tramite un perno a un tavolo di forma rotonda, anch’esso adornato da figure dall’aspetto decisamente totemico.

Collezione permanente, Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Abiti di Giuseppe Versino

Gli abiti di Giuseppe Versino sono conservati sia nella collezione Lombrosiana che in quella del Museo di Antropologia ed Etnografia nato dalle collezioni di Antonio e Giovanni Marro. Gli abiti, realizzati a mano intrecciando fili di cotone panna, rosso e blu, ricavati da stracci precedentemente lavati e sfilacciati risultano essere in totale:

  • Due tuniche lunghe
  • Due casacche corte
  • Due paia di pantaloni
  • Due paia di scarpe o stivali
  • Due cappelli
  • Una sciarpa
  • Una borsa

Le casacche corte presentano maniche, colletto e orlo inferiore con file di frange; nelle tuniche le frange si trovano, oltre che nelle maniche, anche in vita e nella parte inferiore, distanziate da circa quaranta centimetri di trama più rada a formare una rete. Pure gli orli dei pantaloni sono frangiati, mentre in vita la chiusura avviene con bottoni e una rudimentale cintura in corda e fil di ferro. Gli stivali e le scarpe infine, dalla suola di corda, sono aperti sul davanti con stringhe terminanti in ciuffi, che si ritrovano anche nella sciarpa e nei cappelli.

Collezione di Art Brut, Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino

Cestello o armadietto

Si tratta di un grazioso armadietto o cestello dalla sezione trasversale ellittica composto tutto d’osso, realizzato da Francesco Toris nello stesso periodo del “Nuovo Mondo”. Riporta le stesse tecniche e lo stesso materiale di quest’ultimo, ma è utilizzato dall’autore per riporvi i suoi scritti e tutti gli strumenti di lavorazione. Il cestello è costituito da pareti di lunghe e sottili stecche collocate l’una a fianco a l’altra, incastrate alle estremità superiore e inferiore della struttura. Quest’ultime sono formate da un’unica piastra larga e robusta traforata in vari punti. Le stecche verticali che predominano la composizione sono decorate da elementi vegetali, tra queste una in particolare funge da sportello mobile in verticale, chiuso da una sorta di catenaccio. Il cestello poggia sopra tre sostegni con sembianze di zampe feline stilizzate ed è fornito di un sistema di sospensione a forma ovale fissato sopra una piastra orizzontale ancorata a sua volta al tetto tramite quattro particolari catene, una diversa dall’altra.

Collezione di Art Brut, Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino

Endocarpi

Tra gli oggetti più bizzarri della collezione Marro abbiamo una serie di dodici endocarpi o noccioli, probabilmente di pesca, decorati finemente e scolpiti in forme di cuori, piccoli cestelli o croci. La loro funzione è sicuramente decorativa, forse di pendenti o orecchini. Non ne si conosce l’autore o l’autrice, ma essi sembrano riconducibili ad una stessa mano e costituiscono un esempio di come l’istinto creativo e artistico tra i ricoverati delle strutture manicomiali potesse assumere le forme più disparate.

Collezione di Art Brut, Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino

Fornelli da pipa

Non di rado i piccoli oggetti realizzati dai pazienti manicomiali hanno una doppia anima, artistica e pratica. Lo stesso Marro, nel suo trattato del 1916 Arte Primitiva e paranoica confrontando la scultura Il nuovo mondo di Francesco Toris con quelle di altri pazienti scrive: “Contrariamente a quanto fanno per lo più gli altri ammalati che - lavorando l’osso, si ingegnano a foggiare pettini, coltelli, forchette, cucchiai, pipe, agorai ecc. - questo paranoico si rifiutò sempre di dare qualsiasi veste di utilità ai suoi ninnoli”. In effetti, tutte queste tipologie di oggetti si ritrovano all’interno delle collezioni dei Musei del Palazzo degli Istituti Anatomici e, tra gli oggetti più diffusi, ci sono proprio i fornelli da pipa, spesso finemente intagliati in forme zoomorfe.